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Quanto detto, peraltro, non significa assimilare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ad un recesso ad nutum, privo cioè di motivazione, in quanto la circostanza che effetti di ristrutturazione organizzativa possano essere originati dall’obbiettivo di una migliore efficienza gestionale o produttiva, ovvero finalizzati ad un incremento della redditività d’impresa (e quindi eventualmente del profitto), e che prescindano da situazioni sfavorevoli, non significa affatto che la decisione imprenditoriale sia sottratta ad ogni controllo e sfugga a ben precisi limiti. Significherebbe quindi negare il principio di cui all’art 41 della Costituzione, secondo cui l’imprenditore è libero di assumere quelle decisioni atte a rendere più efficiente e funzionale la propria azienda, introducendo così un limite gravemente vincolante per l’autonomia di gestione dell’impresa. Il legislatore non pone quindi alcun vincolo di carattere economico per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, secondo la sentenza in argomento, affermare il contrario significherebbe inserire nella fattispecie un elemento non previsto dalla norma. La legge nulla dice al riguardo, né tantomeno la Costituzione o il diritto dell’Unione Europea impongono una limitazione ex ante delle ragioni sottese alle scelte organizzative riservate all’imprenditore, scelte che non possono essere valutate dal Giudice quanto ai profili di congruità ed opportunità, nel rispetto della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 6, non risulta la necessità di una crisi di impresa come presupposto del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La Corte di Cassazione, nella sentenza in argomento, ha infatti osservato che, dal tenore letterale dell’art. Prima della decisione in questione, la possibilità di ricorrere alla fattispecie di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, cioè per ragioni inerenti all’attività produttiva o all’organizzazione del lavoro, sarebbe stata possibile soltanto ove il datore di lavoro dimostrasse l’esistenza di una situazione economica sfavorevole a cui fare fronte.Ĭon la pronuncia di dicembre in commento, la Corte Suprema ricostruisce una motivazione che esclude tale presupposto quale elemento indefettibile per la tipologia di licenziamento in questione: ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quindi, sono sufficienti ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, ivi comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale, ovvero ad un incremento dell’attività d’impresa, purché idonee a determinare un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo.
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25102 del 7 Dicembre del 2016 la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione è intervenuta in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dettando un orientamento in contrasto con quello precedentemente assunto in via sostanzialmente consolidata dalla stessa, più incline a proteggere lo spazio della libera iniziativa economica privata, in particolare affermando il principio secondo cui “ ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare”.